La nostra elaborazione teorica

Anche se non è tra i nostri obiettivi primari dare una nuova sistematizzazione teorica a concetti metodologici di diversa provenienza che fanno parte del nostro bagaglio scientifico, tuttavia consideriamo parte del nostro lavoro esplicitare i presupposti teorici tanto delle nostre indagini quanto delle complesse costruzioni artistiche che prendiamo in esame attraverso di esse. Denominando e definendo i principi narrativi e compositivi li rendiamo oggetti di studio insieme ai testi artistici in cui sono applicati.
Proprio il tipo di attività che pratichiamo ci ha costretti a ridefinire principi che spesso sono usati senza dichiararli da parte degli autori oppure sono teorizzati ma mai ricercati nelle loro applicazioni testuali da parte degli studiosi; al contempo ci ha indotto ad esplicitare il nostro stesso modo di lavorare e a dare un nome ai concetti che guidano il nostro lavoro, a cui pensiamo quando elaboriamo e realizziamo i nostri progetti e servizi.
Così quando ci sembra che le cose che facciamo e il metodo con cui lavoriamo non sono rappresentati adeguatamente dai termini in uso sia in ambito scientifico che artistico e didattico, preferiamo dare nuovi nomi ad essi piuttosto che ridefinire i concetti associati a nomi ormai legati a luoghi comuni che pesano come pregiudizi sul nostro lavoro.
È ormai diventato impossibile per noi dialogare con pseudostudiosi che mai rimettono in discussione tesi che costituiscono il loro credo ideologico, e con le quali non solo indottrinano nuove generazioni di ulteriori pseudostudiosi e indottrinatori, ma anche ispirano pseudoartisti a perseguire strade che contribuiscono al degrado culturale in cui viviamo, anziché combatterlo. Perciò siamo costretti a pensare a un nuovo lessico per indicare operazioni che non vogliamo in nessun caso assimilare a quelle che combattiamo.
È comprensibile che chiunque senta parlare o persino veda sbrigativamente le nostre cose cerchi di ricondurle alle categorie che conosce e a cui si aggrappa per giudicare una novità. Ma senza falsa modestia noi creiamo novità nel settore educativo da oltre quaranta anni, e proponiamo, con esempi verificabili, un modo di studiare i testi artistici – un modo adatto per identificare soluzioni e ricavare principi generali di progettazione – che purtroppo non ha precedenti (in ambito artistico) e di conseguenza non è confrontabile con ciò che oggi viene realizzato e offerto a studenti e studiosi che a vario titolo vogliono imparare come studiare e fare arte. Sottolineiamo “purtroppo”, perché avremmo volentieri demandato ad altri il difficile compito che ci siamo sobbarcati in assenza di altri interessati e in grado di farlo.
Noi cerchiamo di realizzare quel che avremmo voluto trovare nei testi di studio quando eravamo solo degli studenti, quel che abbiamo ricercato invano ovunque, e che infine abbiamo deciso, per necessità, di costruire noi stessi investendo tutte le nostre risorse in questo «nostro» campo al confine tra ricerca scientifica artistica educativa e tecnologica.
Con questo non vogliamo dire che non abbiamo trovato e avuto grandi maestri, ma che quei maestri di solito non si occupavano di arte, mentre quelli che incontravamo titolati a parlar d’arte, troppo spesso lo facevano in modo non scientifico, senza presentare esempi sistematici di studio di un’opera d’arte che permettessero a un allievo di ricavare non giudizi ma criteri di giudizio applicabili ad altri oggetti oltre quelli presi in esame.

– La narrazione artistica
Con la nostra attività ci occupiamo di quel tipo di narrazione che supera confini geografici, temporali e generazionali, che non invecchia ma costituisce un investimento sul futuro perché non è un prodotto stagionale, non rappresenta i costumi del tempo dell’autore né dei personaggi, non è storicizzabile, non è profetica ma universale, non è impegnata cioè non è ideologica e pedagogica, non è di parte, non manda messaggi ma aiuta a riflettere, perché non presenta le cose da un solo punto di vista ma mostra le cose da più prospettive e non nasconde le prospettive ma le esplicita, non dà risposte ma pone domande; rappresenta fenomeni complessi senza ridurli, non parla di un uomo ma dell’uomo, non bara con il fruitore ma lo sfida a usare e incrementare le sue capacità congetturali per immaginare gli sviluppi, cioè le mosse dell’autore; dialoga non solo con se stessa ma con altre opere d’arte (e non con la spazzatura), non cita a sproposito ma adotta a proposito le soluzioni dei maestri e non si vergogna di dichiarare i propri maestri, crea un tessuto di correlazioni interne ed esterne, ha una struttura reticolare e non lineare, è articolabile in parti correlate tra loro, è concepita come un sistema in cui nulla è inserito a caso, perché cerca per quanto possibile di eliminare l’accidentale; è centrifuga non centripeta, cioè non costituisce un succedaneo di altri testi ma invita a esplorare testi al di fuori di essa.
A volte ci viene chiesto perché ci occupiamo poco di artisti e di opere della contemporaneità, e noi rispondiamo che talvolta ci piace scommettere su alcuni autori contemporanei di cui abbiamo apprezzato qualità che potrebbero farli diventare dei nuovi classici e godere dell’immortalità dell’arte; ad essi dedichiamo la stessa attenzione che diamo a coloro che l’hanno già raggiunta. Per altri fenomeni del contemporaneo, non solo non scommettiamo che diverranno dei classici ma potremmo scommettere che non supereranno le mode contemporanee, e rimarranno fenomeni stagionali destinati, come tutte le mode, a scomparire per essere ricordati ogni tanto da feticisti in qualche revival di dubbio gusto.
Dal momento che, inoltre, non è facile osservare con distacco le cose quando ci si è dentro, soprattutto quando sono gonfiate ed esaltate o disprezzate dalla cultura di massa che ricerca fenomeni di costume da cavalcare fino ad esaurirli, preferiamo occuparcene quando il clamore sarà cessato; così lasciamo sedimentare opere che a distanza forse riveleranno meglio qualità o difetti che, quando si è coinvolti è più difficile scorgere. Come sostengono molti studiosi meglio occuparsi di cose che non sono troppo vicine a noi così da poterle osservare con il necessario distacco critico. In questo modo nessuno ci potrà mai accusare di partigianeria, di parentela, di amicizia per autori che possono essere stati come minimo nostri nonni o lontani avi. Ma al momento, rassicuratevi, non ci risulta alcuna parentela nel nostro albero genealogico con gli autori di cui ci occupiamo.
Qualcuno potrebbe affermare che è troppo facile occuparsi di capolavori immortali, dal momento che essi, essendo immortali, non dovrebbero aver bisogno d’aiuto per continuare ad essere fruiti e studiati. Ma il paradosso è che proprio quei capolavori appaiono oggi più in pericolo, perché – tranne i pochi casi oggetto di interesse dei massmedia – vengono lasciati all’incuria (non più ripubblicati, restaurati, promossi) da un mondo che cerca sistematicamente di cancellare la memoria del proprio passato, così da non doversi vergognare, ad un possibile confronto, con ciò che sta facendo, in nome dell’arte, in campi come l’architettura, la musica, il teatro, etc.

– Lo studio generale e interdisciplinare della narrazione e composizione dei testi artistici
Quando iniziammo la nostra attività collaboravamo con un Centro che si occupava di educazione musicale in modo più rigoroso e scientifico di come la scuola l’aveva introdotta tra le materie cosiddette «integrative», trattandola come una nuova materia (senza legami con le altre arti e men che mai con le scienze) e spesso in modo «spontaneistico», come occasione di socializzazione. Il nostro approccio allo studio della composizione e della pratica esecutiva come modi per scoprire i segreti dell’arte usando la scienza per capire come si fa a creare e realizzare un capolavoro artistico, a studiarlo ed eseguirlo in modo rispettoso del progetto autoriale, si era concentrata sul problema del metodo, sull’insegnare un metodo di studio in senso sia analitico e che progettuale. L’idea di trattare lo studio della musica come un’attività di sviluppo di capacità logiche sin dalla scuola di base per favorire l’acquisizione di un metodo scientifico nel fare e studiare arte ci interessava a tal punto che creammo un Istituto apposito, il nostro, per poter trattare nello stesso modo ogni forma di composizione (il nome completo del nostro Istituto è “Istituto MetaCultura Studi di Composizione”).
Ci interessava inoltre sperimentare l’interazione tra la composizione e la narrazione, sia studiando le diverse forme espressive separatamente, per trattare la narrazione monoespressiva, sia insieme nella loro integrazione, per trattare la narrazione poliespressiva.
Aver fatto nascere un Istituto che studia i principi logici universali della narrazione e della composizione, ricercando le invarianti metodologiche al di là dei diversi campi artistici, e che al contempo studia in che modo la composizione si articoli in diverse forme artistiche sfruttando le diverse forme espressive e integrandole tra loro è stata ci rende orgogliosi e ci stimola a continuare in questa attività nonostante gli ostacoli che incontriamo ogni giorno.
Oggi la nostra teorizzazione sulla metodologia di studio interdisciplinare dei principi della composizione e della narrazione artistica è diventata il tratto specifico del nostro Istituto, che ci differenzia da qualunque altro ente che tratta le forme nella loro indipendenza e che non adotta una strumentazione scientifica efficace ed adeguata alla complessità degli oggetti di studio.
Un altro tratto che ci ha caratterizzato sin dagli inizi, anche rispetto ai nostri partner di allora, è che per noi la complessità non va considerata una chimera raggiungibile dopo aver trattato oggetti banali o aver giocato con esercizi semplici e incoraggianti che non fanno neppure intuire la complessità degli oggetti di studio e la complessità della materia trattata. Certo, in molti considerano l’arte superflua o chiamano arte qualunque attività di produzione sonora visiva o letteraria, per cui per loro la complessità non è cosa indispensabile da trattare. Ma questi sono coloro che contribuiscono a illudere chi si diletta già per suo conto a scrivere, dipingere, suonare, filmare, recitare, che con vi è alcuna soluzione di continuità tra la loro attività dilettantistica e quella degli artisti, che l’arte è democratica e che il problema è stato superato quando tutti hanno avuto a disposizione un videofonino per fare film e poter scrivere sul proprio biglietto da visita “autore dei cortometraggi” o grazie a internet hanno potuto creare un blog per farsi apprezzare come autori di racconti letterari.
Ma noi studiamo e insegniamo come si fa quella letterature, quel cinema, quella musica che pochi hanno saputo fare creando capolavori per i quali ognuno di noi è disposto a viaggiare e spendere soldi per poterli ammirare. Noi non insegniamo a fare cinema nel senso di apprendimento tecnico di alcune possibilità per realizzare un cortometraggio, non diamo certificazioni di abilità nel realizzare quel che possono imparare a fare anche da soli, né tanto meno premi per aver realizzato un cortometraggio su un tema di interesse politico affinché si convincono di aver contribuito nel loro piccolo a denunciare un problema sociale.
Noi insegniamo a fare cinema come lo farebbero Hitchcock o Lubitsch, cioè come lo farebbero i maestri; proprio come tutti gli artisti che si sono posti le medesime domande nell’intraprendere la la loro formazione rivolgendosi ai loro grandi maestri diretti o indiretti affinché insegnassero loro come fare arte.
La nostra attività inizia dove si ferma quella di coloro che vendono diplomi e corsi introduttivi alle tecniche per illudere i loro utenti di aver imparato a fare cinema o a scrivere un romanzo. La nostra attività di studio e formazione e didattica inizia quando qualcuno che non si accontenta di suonare con gli amici per stare insieme, di esprimere le proprie idee su un argomento sul suo blog, proprio come fanno tutti, si chiede come poter apprendere le capacità straordinarie di quei grandi autori, gli stessi a cui è disposto a pagare un diritto d’uso delle loro opere quando vuole accedere ai loro capolavori.
La prova di questo è che quella democratica produzione dilettantesco e che ora è stata elevata al rango di arte (siamo tutti musicisti, cineasti e scrittori) non consente a chi la fa di viverci, perché al massimo può «scambiarla» alla pari con altri dilettanti come lui, proprio come si faceva un tempo quando alla fine delle vacanze si mostravano le diapositive al vicino di casa ma non per questo quello sarebbe stato disposto a pagare un biglietto per vedere i nostri risultati (e anzi attendeva il momento per vendicarsi mostrandoci i suoi), proprio come si fa oggi sui social come Instagram quando mostriamo come esibizionisti le nostre foto ad altri che ci mostrano le loro. Tutti cuciniamo ma nessuno di solito è disposto a pagare ad un ristorante la preparazione di un piatto che saprebbe fare da solo.
Dunque noi insegniamo quel di più che costituisce lo scarto tra narrare e narrare in forma artistica. Noi studiamo e insegniamo i principi della narrazione artistica per favorire la nascita di nuovi artisti e studiosi. Crediamo infatti che sia necessario tornare a seminare, a investire cioè sulla formazione di nuovi artisti anziché cercare invano talenti che non possono essere nati non essendoci più artisti per insegnare loro come diventarlo, o anziché nominare artisti dei presuntuosi incapaci pronti a recitarne la parte a favore di altri incapaci di riconoscere i veri artisti. Anche se insegnare arte non può voler dire fare di ognuno un artista vuol dire fare di ognuno una persona capace di capire e apprezzare l’arte anche se deciderà di non praticarla professionalmente. E noi pensiamo che questo dovrebbe essere uno scopo di quella quella scuola di base che non dovrebbe dimenticare di formare degli umanisti prima di dare ad essi una specializzazione per potersi guadagnare da vivere.
Per questo la nostra attività si rivolge tanto all’educazione di base quanto alla formazione professionale, e per questo il nostro team è stato composto sin dagli inizi da studiosi e autori da diversi campi artistici e scientifici, tutti interessati tanto a studiare come si fa arte quanto a insegnare a farla e studiarla.

– Lo studio del testo artistico a diversi livelli e da diverse prospettive analitiche
Considerando la complessità dei testi artistici che costituiscono il nostro oggetto ideale di studio, nonché la preparazione richiesta ai fruitori e la dotazione di strumenti di cui questi ultimi devono disporre – più vicina a quella dell’autore di quanto si supporrebbe ad una prima lettura – abbiamo concluso che lo studio ideale per avvicinarsi alla loro comprensione richiede un’indagine a più livelli e sotto diversi aspetti. Di conseguenza è necessario dotarsi – dotare noi stessi e i nostri utenti – di una strumentazione scientifica interdisciplinare che non però fa parte degli strumenti messi a disposizione degli studenti della «materia» a cui è ricondotto il testo artistico da studiare.
Per queste ragioni noi stessi formiamo i nostri collaboratori per metterli in grado sia di condurre studi a più livelli e da più prospettive sia per poter insegnare come farlo ai nostri allievi, attraverso la conduzione di lezioni in presenza o online o attraverso l’elaborazione e la distribuzione di sistemi di studio.
Lo studio a diversi livelli implica anzitutto – per alcuni tipi di testi – la necessità di distinguere tra lo studio del progetto e quello delle messe in scena e riscritture; ma implica anche la capacità di studiare – nella loro indipendenza e correlazione – i diversi piani espressivi e narrativi che concorrono al funzionamento di un oggetto complesso, per poter cogliere le soluzioni e per poter identificare quanto rappresentato su un piano e quanto su un altro così da poter cogliere la complementarità dei piani stessi.
Sempre per quanto riguarda lo studio dei livelli di complessità del testo artistico, la nostra indagine da un lato è rivolta ad esplicitare la rete dei conflitti morali che si articola sul piano dell’intreccio, e da un altro a ricostruire le soluzioni narrative e le corrispondenti espressive sul piano dei principi narrativi e compositivi utilizzati dall’autore per creare la struttura logica del racconto. Per quanto riguarda questo piano più profondo di studio del testo occorre però adottare diverse prospettive analitiche, corrispondenti a diverse teorizzazioni scientifiche per ogni principio adottato come criterio di indagine. Lo studio dei diversi livelli e da diverse prospettive richiede una preparazione interdisciplinare che contempla l’adozione di strumenti scientifici normalmente non considerati di pertinenza umanistica. Parte de nostri sforzi è mostrare proprio come la mancata adozione di strumenti scientifici adeguati alla complessità dell’oggetto di studio è la causa dei pregiudizi tecnici e ideologici che hanno frenato gli studi in questo campo e contribuito a divaricare ancora di più la separazione tra le scienze e le arti proprio nel processo educativo e formativo degli individui e dei potenziali nuovi artisti e studiosi.

– La multiplanarità narrativa ed espressiva, la narrazione artistica poliespressiva
La «multiplanarità» espressiva e narrativa dei testi artistici è una nostra elaborazione teorica che fonde e sviluppa le idee di Lotman sulla molteplicità di piani narrativi dei testi artistici – la semantizzazione dei piani espressivi ovvero l’adeguatezza di questi rispetto al loro corrispettivo narrativo – e l’idea wagneriana di «opera totale» per la quale ogni piano espressivo ha un diverso valore e compito che lo rende indipendente e complementare agli altri, non subordinato ma integrato per rappresentare la complessità di livelli dell’oggetto artistico. Per comprendere il ruolo svolto dai diversi piani espressivi siamo stati aiutati dalle teorie di altri studiosi e autori che ci hanno permesso di comprendere quali siano, nell’opera d’arte totale o come ci piace chiamarla «poliespressiva», i ruoli più adatti per la parola la musica e le immagini evitando ridondanza, indifferenza, subordinazione.

L’intreccio come ricostruzione del sistema di domande e risposte riguardanti i conflitti morali dei personaggi che correla le scene tra loro
Una delle cose che abbiamo scoperto studiando capolavori artistici in ogni forma espressiva e dedicando ad essi i nostri sistemi di studio reticolari, è che i testi artistici non contengono affermazioni ma solo domande e risposte, ovvero che ogni affermazione può essere trasformata in domande, che trovano implicita risposta in altre scene, o in risposte a domande presenti implicitamente in altre scene.
Ricostruire l’intreccio assumendo come soggetto della narrazione i conflitti interiori, morali, dei personaggi, aiuta a comprendere quali siano le intenzioni e le reazioni interiori che muovono le azioni dei personaggi.
Raggiungendo questo livello analitico si può accedere più facilmente all’ulteriore livello riguardante i principi narrativi utilizzati dall’autore per rappresentare i conflitti.
I nostri studi condotti sul piano dell’intreccio e su quello dell’architettura logica del testo artistico per identificare tanto i conflitti morali quanto i principi narrativi, racchiusi in ogni testo artistico, è Il nostro contributo all’individuazione dei meccanismi di funzionamento dei testi narrativi e in particolare artistici, per poter spingere l’analisi delle costanti oltre il livello delle funzioni di Propp, evitando le derive dietrologiche degli studi greimasiani.

L’adeguatezza tra le forme espressive e quelle narrative
il nostro modus operandi riguardo lo studio e la didattica della narrazione in ogni forma espressiva mostra come la composizione del testi non sia mai cosa asemantica ma sempre connessa alla struttura logica del racconto; partendo dalle soluzioni espressive e identificando per ognuna di esse le complesse soluzioni narrative, rappresentate sempre nella forma più adeguata, mai arbitraria, rivela come casualità rumore ed entropia siano escluse dalla costruzione narrativa ed espressiva dei testi artistici.
La nostra idea di testo artistico travalica le forme espressive per racchiudere qualunque costruzione narrativa mono o poli espressiva, e considera il testo come sistema di unità narrative autonome e correlate tra loro.

Il testo artistico non forma il lettore ma presuppone e richiede un lettore preparato
Noi non crediamo che gli autori nel creare i loro capolavori narrativi debbano preoccuparsi né di formare i loro lettori rendendo i loro testi dei compendi del sapere né che debbano svilirli per andare incontro a chi non è in grado di apprezzarli. Non pensiamo che un testo artistico debba anche essere un trattato su come si costruisce e come funziona. Pensiamo invece quando gli artisti hanno aperto la loro bottega ai potenziali allievi-eredi si siano create quelle due condizioni essenziali per lo sviluppo e la diffusione dell’arte: formare nuovi autori e preparare il pubblico. Tuttavia questo non ha nulla a che vedere con quella idea diffusa da derive semiologiche che che il testo artistico formi il proprio lettore e gli fornisca i presupposti di cui ha bisogno per comprenderlo. Crediamo invece che li presupponga inducendo il lettore a porsi domande e a cercare altrove le risposte, a compiere cioè quell’attività di esplorazione intertestuale che insieme a quella intratestuale è parte del funzionamento della comunicazione artistica. Questo non toglie, lo ripetiamo, che a nostro avviso proprio gli artisti nelle loro botteghe si debbano occupare di formare sia i loro allievi, cioè i nuovi autori sia il loro pubblico, se non vogliono che i loro lettori siano formati dalla cultura di massa e finiscano per avere nei confronti dei testi artistici l’atteggiamento della volpe con l’uva

La narrazione indiretta
Mentre nei testi non artistici la narrazione tende ad essere esplicita e diretta, in quelli artistici per loro natura è indiretta e invita il lettore a ricavare informazioni implicite correlando quelle che riceve.

La sfida tra l’autore e il fruire, la partita truccata, le previsioni del lettore
Studiano i testi artistici ci siamo resi conto che le domande suscitate da ogni scena costituiscono altrettante sfide per il lettore/spettatore a prevedere le mosse dell’autore, immaginare i possibili sviluppi e quelli che verranno attuati dall’autore

Lo studio delle variazioni sul tema come dialogo tra artisti e Lo studio degli archetipi della narrazione come modelli logici generatori di innumerevoli variazioni
Lo studio dell’opera di un autore intesa come corpus dei suoi progetti, insieme allo studio delle opere di autori imparentati come allievi e maestri diretti o indiretti, ci ha fatto comprendere come le variazioni sul tema, o meglio su temi archetipici universali, è il modo con cui gli autori parlano tra loro, sviluppando possibilità logiche non attuate di progetti condivisi

Interpretazione e comprensione
La nostra battaglia contro la dietrologia e la sovrainterpretazione dei testi artistici ci ha portati a intendere l’interpretazione come operazione esclusivamente progettuale, quella che mettono in atto coloro che da un progetto scenico o da una partitura traggono appunto delle interpretazioni. Per quanto riguarda l’analisi dei testi ciò a cui miriamo è la comprensione, pur sempre parziale e mai definitiva, del testo, sottraendo al fruitore quel ruolo, esaltato dalla semiotica, di contributore all’attuazione del testo stesso. Il nostro studio dei testi artistici ci ha convinti che gli autori non formino i lettori ma presuppongano lettori preparati e li inducano a cercare, altrove, ciò che essi presuppongono, dal momento che nei loro testi nulla è lasciato
al caso ogni congettura del fruitore è da loro prevista proprio come ogni suo respiro ogni attesa e sorpresa; e dunque i lettori/spettatori devo arrivare preparati a questa sfida o uscire temporaneamente dal testo per prepararsi ad essa

Ricevere e ricavare informazioni
Considerando il testo come una sorta di «scena del crimine», ogni lettore/spettatore è invitato ad imparare a vedere, cioè ad indossare le lenti più adatte per scoprire quello che non può cogliere a prima vista, cioè senza adeguata preparazione. Per questo noi distinguiamo tra le informazioni che l’autore dissemina costruendo il testo, e fornisce direttamente al lettore, e quelle che invece pretende e si augura che il lettore esperto sia in grado di ricavare da quelle che ha ricevuto, o meglio dalla correlazione tra quelle che ha ricevuto in quella parte del testo e quelle che ha già ricevuto da altre parti del testo o da altri testi. Dal momento che i testi artistici sono per loro natura estremamente sintetici, va considerata parte della loro struttura il non dire direttamente fornendo tutte le informazioni, ovvero il dire indirettamente mettendo in moto la capacità congetturale del lettore/spettatore.

Studio progettuale e studio analitico
Il concetto di «studio» nel nostro lessico sta a indicare tanto l’attività di costruzione progettuale quanto quella di ricostruzione attraverso l’analisi del testo

Lo studio delle correlazioni implicite tra testi a livello intra e intertestuale, la ricostruzione della rete di relazioni interne ed esterne ai testi artistici
Studiare i testi per noi equivale a esplicitare la rete di correlazioni implicite che collega le parti tra loro sia all’interno di un testo sia con altri testi

– Le correlazioni implicite
Riteniamo che uno dei problemi maggiori che affligge l’educazione scolastica stia nel modo in cui si apprende. L’ambiente educativo a cui affidiamo i nostri ragazzi non privilegia le correlazioni ma l’apprendimento separato di ogni nozione; propone un tipo di apprendimento che non solo scollega le «competenze» (la recente scoperta della scuola 2.0) dalle «conoscenze», ma tratta il sapere come una catasta di oggetti tra loro non comunicanti – le cosiddette materie – separandole tra scientifiche, artistiche e tecnologiche, in modo che: gli oggetti artistici siano trattati sono dal punto di vista storico e sociologico, le scienze senza mai applicarle agli oggetti artistici, e la tecnologia come qualcosa di applicabile solo all’utile al quotidiano.
Il tipo di apprendimento che la scuola attuale propone va contro la crescita dell’intelligenza, cioè lo sviluppo delle capacità elaborative, e per giunta finisce per non far acquisire neppure quelle nozioni, quei saperi separati che vorrebbe inculcare usando l’ideologia per cercare di renderle più attraenti.
La scuola fornisce giudizi e conclusioni ma non strumenti di giudizio cioè strumenti di elaborazione e di analisi, anche perché non è in grado di farlo.
Le stesse scienze non sono trattate come metodo ma come risultati di qualche «geniale» scoperta senza che il metodo stesso della ricerca scientifica divenga oggetto di studio nella scuola. Meno che mai poi, il metodo scientifico (che nel mondo “liquido” – e già del “pensiero debole” – è equiparato a una «fede») viene applicato all’arte, la quale viene trattata come se fosse qualcosa di innato, un dono destinato solo ad alcuni fortunati mortali considerati alla stregua di personaggi leggendari e mitologici non confrontabili con gli uomini comuni che si devono accontentare della cultura di massa. Questo assunto, o meglio pregiudizio, giustifica la scelta di non provare neppure a insegnare come si crea arte.
Ciò che al momento rende vano ogni sforzo di rinnovamento da parte della scuola, quand’anche in buona fede, è il presupposto che occorra inculcare nozioni separate e mai correlate tra di loro. Anche il tentativo attuale di correre ai ripari usando «mappe concettuali» e «collegamenti» non è che un’ammissione di colpa a cui non segue un’adeguata ricerca di soluzioni. I «collegamenti interdisciplinari» di cui l’attuale scuola si vanta di saper insegnare a fare – quando invita gli studenti a creare mappe collegando la corsa alla luna con qualche poesia sulla luna – evidenzia l’inadeguatezza di questa scuola che induce gli studenti ad affidarsi agli automatismi, ai luoghi comuni, al senso comune (magari quello che circola nei social per essere più moderni) piuttosto che proporre un antidoto ad essi.
Anche quando Umberto Eco propose, con il progetto “Enciclomedia”, uno strumento per lo studio interdisciplinare, ciò che aveva in mente – per sua ammissione pubblica – non era altro che un bignami enciclopedico in cui fosse più agevole saltare da un libro all’altro per memorizzare le «correlazioni esplicite storico-geografiche» tra le nozioni.
Quello che invece sembra assai difficile da introdurre nella scuola è lo studio metodologico delle «correlazioni implicite» tra fenomeni non immediatamente correlabili tra di loro, quel metodo scientifico con cui si studiano ed elaborano soluzioni culturali complesse come le scoperte scientifiche, le invenzioni tecnologiche e le creazioni artistiche.
La scuola sta perdendo ancora una volta la guerra contro il degrado culturale, mettendo in campo armi spuntate, docenti impreparati e manuali inadeguati, ma soprattutto una politica educativa sbagliata che vuole fare della scuola soltanto uno strumento per formare automi umani meno costosi di quelli che ancora la tecnologia non può offrire.
Questa scuola non è adeguata e preparata per formare gli artisti e gli scienziati del futuro, perché non fa crescere gli studenti ma anzi fa odiare loro lo studio e detestare i classici, cioè quei capolavori del passato in cui sono racchiusi gli insegnamenti necessari per formare gli autori, gli studiosi e i didatti del futuro.
Nella scuola attuale le scienze sono studiate separatamente tra loro, e mai ricercando i denominatori comuni, mai indagando la loro complementarità e mai le metodologie di analisi. D’altro canto le arti sono trattate come materie apparentemente ininfluenti l’una sull’altra come se la musica, il teatro, la letteratura e persino il cinema non fossero fatte con la stessa logica, con la stessa materia narrativa e spesso anche con la stessa materia espressiva; come se non si ispirassero tra loro, … ma soprattutto come se l’arte non si studiasse e non si facesse proprio con la scienza e con un largo impiego di soluzioni tecnologiche adottate o studiati dagli stessi artisti.
Per cambiare questa scuola è necessario cambiare il metodo di apprendimento. Solo così riusciremo a far amare lo studio ai ragazzi, a far loro scoprire il piacere di indagare e di creare in modo rigoroso oggetti complessi, quegli oggetti da cui, se non imparano a trattarli fin da bambini, verranno esclusi per tutta la vita.
In una scuola ideale qualunque nuova informazione dovrebbe essere correlata a tutte le altre già acquisite, ogni nuovo oggetto di studio dovrebbe essere osservato e analizzato da diverse prospettive, ed ogni nuova prospettiva dovrebbe essere esplicitata, definita e applicata a nuovi e vecchi oggetti, ma anche analizzata nei suoi presupposti teorici e nelle correlazioni con altre teorie.
Nella scuola che vorremmo contribuire a riformare si dovrebbero studiare quelle correlazioni implicite tra oggetti di diversa natura e considerati troppo distanti per cercare correlazioni tra loro, per di più appartenenti a diverse materie di studio; e tuttavia oggetti ideali per scoprire meccanismi condivisi e persino le medesime soluzioni non immediatamente percepibili perché nascoste dietro i diversi utilizzi delle stesse.
In questa nostra scuola, quella che cerchiamo di ricostruire virtualmente, la parola, anziché ostacolare, dovrebbe aiutare a cogliere le correlazioni; attraverso lo studio meta-linguistico del linguaggio stesso si può arrivare a far scoprire l’utilità di un linguaggio logico astratto con cui padroneggiare fenomeni complessi. In questa scuola almeno per i primi 10 o 12 anni non dovrebbe esserci interesse alcuno a specializzare settorialmente lo studio, ma dovrebbe essere invece prioritario approfondire trasversalmente le correlazioni tra gli studi e favorire lo sviluppo dell’intelligenza come capacità di ricavare, elaborare e analizzare qualunque tipo di informazione.
Ciò che noi stiamo proponendo come strumento a sostegno di questa scuola così malridotta – o alternativo ad essa qualora non sia possibile un’efficace collaborazione – è una nuova tipologia di sofisticati sistemi di studio, realmente interdisciplinare, che consenta di apprendere insieme competenze e conoscenze correlando le une alle altre, e facendo convergere su qualunque progetto tutte le competenze scientifiche che occorrono per trattarlo dalla molteplicità di prospettive necessaria per analizzarlo e realizzarlo.
I nostri sistemi di studio sono stati pensati per favorire insieme lo studio di oggetti complessi e l’apprendimento degli strumenti più adeguati per analizzarli e progettarli.
Lo stesso studio delle correlazioni implicite intra- e inter- testuali tra gli oggetti di studio è anche, contemporaneamente, un modo per riflettere sui criteri di correlazione e per apprendere quei principi di narrazione e composizione in base ai quali è possibile comparare i testi e riconoscere le parentele implicite tra di essi.

– La reticolarità
Quando parlammo per la prima volta di tele ipermediali, per dare un nome ai nostri sistemi di studio, fu per differenziarle da quegli ipertesti che cominciavano a circolare proprio sul «mercato educativo» (come «sussidi didattici») chiusi e su disco, organizzati casualmente per associazioni meccaniche automatiche ed esplicite come avrebbe saputo fare una macchina nella ricerca di evidenti similitudini tra i testi raccolti.
Mentre tutti pensavano a nuovi supporti in cui rinchiudere ipertesti da esplorare con i loro navigatori, e pensavano a edizioni ipertestuali come assemblaggi di documenti collegati a un testo centrale, per addobbarlo, … noi mostravamo in importanti occasioni pubbliche (leggete la nostra storia) i primi prototipi di «tele ipermediali» che non contenevano i dati oggetto di studio ma consentivano di esplorare un universo esterno ad essi, fatto di testi digitali offline o online, attraverso un reticolo di studi interdisciplinari collegati tra loro per poter osservare quegli oggetti da diverse prospettive e scoprire legami profondi non immediatamente percepibili tra di essi.
Mentre tutti pensavano che si potessero ipertestualizzare solo i manuali, le enciclopedie, i dizionari, creando collegamenti meccanici tra le voci per facilitare la consultazione, e al contempo trattavano i romanzi come sempre si è fatto nel modo analogico, cioè aggiungendo ad essi delle «note esplicative» a piè di pagina, rese pop-up nelle edizioni digitali, … noi eravamo arrivati a costruire «sistemi» ipertestuali dedicati non ad un solo testo con appendici e approfondimenti, ma ad una pluralità di testi studiabili da una pluralità di prospettive. Collegando virtualmente tra loro sia manuali scientifici sia oggetti di studio artistici mostravamo come si potevano creare studi rigorosi. Applicando diversi approcci teorici a diversi oggetti di studio, l’utente dei sistemi poteva studiare al contempo le teorie e gli oggetti di studio imparando ad elaborare lui stesso studi rigorosi – attraverso l’esempio -, verificando la bontà delle teorie scientifiche e comprendendo maggiormente i testi grazie a diverse prospettive di studio.
Da questa sperimentazione sono nati quelli che noi chiamiamo ora «sistemi di studio reticolari» per indicare un’integrazione virtuosa tra A) studi scientifici teorici di grandi studiosi in differenti campi che mai sono stati considerati applicabili a testi artistici, B) classici della narrazione rieditati in forme rispettose del progetto degli autori, cioè senza modificare addobbare e aggiornare i suoi testi ma soltanto articolandoli in parti (secondo le implicite articolazioni dell’autore) e dotandoli di ancore per ogni intrinseca articolazione; C) studi sistematici in cui le articolazioni progettuali dei testi oggetto di studio sono analizzate da più prospettive corrispondenti a diversi approcci scientifici.
Quando parliamo di «reticolarità» – termine che abbiamo preferito all’abusato e mal interpretato «ipertestualità» – intendiamo che l’utente può esplorare correlazioni implicite interne ed esterne agli oggetti di studio adottando una molteplicità di criteri – principi scientifici – per poterle identificare; ma al contempo intendiamo anche che può identificare e studiare i principi di correlazione decidendo se trattare il sistema come un manuale, esemplificato nei i testi oggetto di studio, oppure come una rete di testi oggetti di studio, da esplorare adottando criteri diversi per scoprire le loro implicite correlazioni.
Perché non chiamiamo i nostri sistemi semplicemente «studi su oggetti artistici»? Perché nei nostri sistemi sono integrati virtualmente anche gli oggetti di studio, esterni ad essi ma correlati ad essi; e non solo, … sono integrate virtualmente anche le teorie assunte esplicitamente come criteri di studio. Di conseguenza noi possiamo realizzare studi multiprospettici collegando indirettamente le teorie e gli oggetti di studio tra loro, ricercando da un lato applicazioni testuali delle teorie, e da un altro le teorie più adatte per poter analizzare gli oggetti di studio.
Gli studi sono una parte del sistema, quella elaborata specificamente da noi, e non riguardano solo le applicazioni delle teorie ma anche la ridefinizione dei concetti teorici che noi assumiamo come presupposti.
Se le lezioni in cui ridefiniamo i concetti teorici rimandano a esposizioni teoriche esterne e preesistenti ai nostri studi, i nostri studi rimandano ad oggetti di studio che confrontiamo correliamo e analizziamo con i principi teorici che abbiamo assunto.
Il reticolo logico è costituito principalmente dai nostri studi, tutti correlati bidirezionalmente tra loro in modo che da ognuno di essi si possa saltare a studi da differenti prospettive sullo stesso oggetto o a studi dalla medesima prospettiva su nuovi oggetti, scoprendo correlazioni implicite tra gli oggetti di studio.
In un sistema di studio le teorie – che di solito non dialogano tra loro e che non sono mai applicate a oggetti artistici – si trovano a dialogare tra loro e con oggetti di forme espressive e mediali differenti tra loro. Le teorie che noi adottiamo come strumenti di studio sono di solito considerate a tal punto irrelate e irrelabili tra loro, e meno che mai agli oggetti a cui noi le applichiamo, da costituire ambiti disciplinari che persino gli esperti, gli studiosi, i critici, e gli autori oggi non considerano di loro pertinenza né parte della loro formazione (davvero pensate che il cinema si studi e si faccia solo con il cinema?).
Lo studio reticolare dei testi artistici è un uovo di colombo che sfugge anche a chi crede di aver capito di che si tratta, perché chi anche se decidesse di studiare un testo scena per scena da una molteplicità di prospettive non si chiederebbe poi a quali altre scene è applicabile ciascuna delle prospettive di studio adottate, e non arriverebbe di conseguenza a creare un sistema in cui si possa partire tanto dalle scene quanto dai principi per ricercare le correlazioni tra di esse in base ai principi condivisi. Meditate …

Il sistema cognitivo come nuovo manuale per lo studio sistematico di un’opera d’arte
La manualistica ci ha da sempre interessati, sin da quando ci siamo accorti di gravi assenze o inadeguatezze nei campi di cui ci occupiamo e in particolare da quando, con la svolta digitale, ci si è chiesti come questa avrebbe potuto aiutare la costruzione di manuali più efficaci per insegnare cose che normalmente si crede che non possano essere insegnate: “l’arte è un dono innato pochi ce l’hanno e perciò pochi diventano artisti”, sentiamo dire da sempre. Una delle nostre scommesse è mostrare che si può insegnare a fare e studiare arte sia per farne una ragione di vita o anche solo uno strumento di crescita intellettiva e morale.

Il sentiero esplorativo come viaggio inter e intra testuale
Sin dagli inizi della nostra attività abbiamo pensato a uno strumento adatto per realizzare e distribuire sistemi di studio reticolare rivolti all’infanzia, alla scuola, agli educatori; sistemi da utilizzare per far acquisire agli utenti finali competenze e insieme conoscenze, per far loro scoprire e apprezzare capolavori artistici e introdurli allo studio delle soluzioni autoriali. Per ottenere questo risultato abbiamo ipotizzato e realizzato – prima offline e ora online – alcuni viaggi intertestuali, tra testi imparentati con l’oggetto di studio preso in esame, testi di altri autori – maestri ed eredi – che condividano con esso alcune delle soluzioni presenti in almeno una scena. In questo modo, partendo da testi più vicini all’universo culturale destinatario, che potrebbe già conoscere anche senza aver riflettuto prima su come essi sono fatti, lo invitiamo a scoprire di cosa è fatto il testo oggetto di studio a cui vogliamo portare la sua attenzione, suscitando o resuscitando interessi (interessi spesso annullati proprio dalla scuola che non riesce a far amare i classici). In questo modo il testo a cui vogliamo avvicinare il nostro utente gli appare così composto delle medesime soluzioni riconosciute in testi da lui già conosciuto e amati, ma addirittura usate e sviluppate meglio. Attraverso questi viaggi esplorativi intertestuali che apparentemente si allontanano da esso ma riportano indirettamente ad esso, può venir apprezzato proprio dal confronto con altri testi per quei «denominatori comuni» non immediatamente percepibili ma che diventano perfettamente riconoscibili una volta scomposti in elementi e regole di narrazione e composizione, una volta identificati i meccanismi strutturali comuni.

– Lo studio metateorico e i metaipertesti
Come ci ha insegnato uno dei nostri maestri – Alberto Cirese -, uno studio che esiga rispetto, che insegni agli studenti un metodo, oltre ad aiutarli a comprendere come è fatto un determinato oggetto di studio, dovrebbe prendere in esame preliminarmente i presupposti teorici adottati implicitamente, cioè considerare parte dello studio stesso la riflessione sugli strumenti di indagine. Per questa ragione consideriamo imprescindibile l’esplicitazione, l’eventuale ridefinizione e la rigorizzazione degli strumenti metodologici che adottiamo, anche quando li consideriamo i più efficaci per trattare un nuovo oggetto o progetto.
Per questo, parte della nostra ricerca è sempre orientata a ricercare, indagare e definire i criteri di studio più adatti per far emergere aspetti e livelli, altrimenti irraggiungibili, nei nostri oggetti di studio
La complementarità e l’interdisciplinarità degli strumenti di studio è una condizione ineliminabile della nostra attività. Parte della nostra bibliomediateca è infatti dedicata alla ricerca scientifica intorno al metodo della ricerca scientifica stessa, e raccoglie testi scientifici che illustrano quelle teorie che meglio ci aiutano a identificare aspetti degli oggetti artistici che altrimenti rimarrebbero invisibili.
«Metaipertesto» è un termine che che abbiamo dovuto coniare per indicare che i nostri studi non sono semplicemente testi che parlano di testi, ma testi che parlano di relazioni tra testi, e che prendono in esame sia i testi sia la natura delle loro implicite correlazioni.

Sequenzialità e reticolarità, il labirinto narrativo e i viaggi per percorrere il labirinto
Alla luce dei nostri studi il racconto artistico appare come un labirinto, non come una linea, e di conseguenza l’intreccio si rivela come uno dei percorsi possibili e significativi all’interno di esso. La complessità dei testi artistici, o meglio dei progetti artistici, rende ogni testo visitabile attraverso diversi possibili viaggi per percorrerne il labirinto. Quello che propone l’autore, disponendo le scene in modo che creino un percorso particolarmente informativo per il fruitore, invitandolo ad annodare i fili che collegano implicitamente domande lasciate aperte e risposte che giungono di scena in scena, non è che un percorso tra i tanti, ma non infiniti, consentiti dal testo stesso, che in quanto labirinto consente di potervi accedere da ogni sua interna articolazione, in quanto in essa vi sono domande tali da indurre il lettore/spettatore a saltare ad ogni scena che contenga risposte che ne costituiscono i presupposti logici di quella a cui ha avuto accesso. Questo vuol dire che il fruitore può visitare il testo sfruttando la relativa autonomia di ogni sua articolazione ricercando e inseguendo da ognuna di essa i fili che la connettono alle altre. Un percorso compiuto crea una linea e genera l’illusione che il testo artistico sia solo una linea e non una rete in cui tracciare una linea è solo un modo per percorrerla. La reticolarità progettuale dei testi artistici invita a rileggerli inseguendo i fili delle storie che si intersecano nell’intreccio.

La nostra idea di valorizzazione degli archivi di beni narrativi
Il nostro interesse per gli archivi dei grandi autori, da noi considerati potenziali maestri degli autori del futuro, consiste nel trasformare giacimenti di dati inerti e irrelati in sistemi di studio delle straordinarie competenze autoriali racchiuse in essi. Come? Esplorando le correlazioni tra le innumerevoli risorse ed esplicitando i principi compositivi e narrativi condivisi tra capolavori artistici.
Questa nostra idea di non lasciare gli archivi al solo interesse «archivistico», di specialisti di settore interessati alla loro tutela per un valore solo storico ed economico (data la loro rarità), corrisponde al nostro interesse, non già per i documenti originali ma per le potenzialità offerte ai nostri sistemi dalla loro digitalizzazione; operazione che, se ben condotta (creando testi editabili e articolati in parti ancorabili), consente di costruire sistemi di studio reticolari che non presuppongono e richiedono link dagli oggetti di studio (note) ma agevolano la creazione dei link dai nostri sistemi verso di essi sfruttando i loro indirizzi fissi online.
Nei nostri sistemi, infatti, non sono i testi oggetto di studio che devono contenere link ma sono gli studi «meta-iper-testuali» che contengono link – bidirezionali tra loro e unidirezionali verso le risorse esterne – per dare al fruitore la possibilità di cambiare prospettiva, allo scopo di per studiare i medesimi oggetti di studio, ovvero di mantenere la medesima prospettiva, allo scopo di scoprire una molteplicità di oggetti di studio trattabili attraverso di essa.
La possibilità di fare di questi archivi la materia da cui ricavare insegnamenti, oltre che l’oggetto ideale per affinare il gusto ed esercitare quanto appreso sul piano metodologico per meglio comprendere i progetti degli autori, rende la «valorizzazione» degli archivi una parte fondamentale del nostro piano contro il degrado culturale in cui viviamo. Il nostro piano non consiste infatti solo nella tutela degli archivi, ma anche nella loro «valorizzazione» in un senso fino ad oggi mai supposto tanto da chi li possiede fisicamente quanto da chi ne detiene i diritti d’uso e da chi si preoccupa della loro tutela.
Il nostro interesse è rivolto agli archivi di «beni narrativi», intendendo con questo termine non beni «immateriali» come erroneamente vengono a volte denominati, ma beni il cui valore non risiede nei supporti su cui conservati (memorizzati) ma nelle informazioni che essi continuano a trasmettere a chi sa come ricercarle, slegandoli dai supporti originali e rendendoli fruibili anche a distanza su cloud. Tra i beni narrativi che possono rivestire interessi di diverso tipo, anche storico e antropologico, a noi interessano specificamente quelli che a volte vengono riconosciuti come «patrimonio dell’umanità», perché possiedono qualità che se adeguatamente valorizzate possono far loro superare ogni confine temporale geografico e sociale; capolavori di valore universale per i quali riteniamo di possa usare propriamente la parola «arte». Se essi sono stati un buon investimento sul futuro da parte di chi li ha realizzati o auto a realizzarli legando il proprio nome all’immortalità dell’opera, riteniamo possa essere un investimento altrettanto buono fare di essi lo strumento e gli oggetti ideale di studio per chi vuole apprendere come si fa e come si studia l’arte.